Mediterraneo Atto I

 

Il 1997 è stato l’anno d’oro della Mediterranean Scene. Contemporaneamente all’uscita di Addisìu, nasceva un progetto di chiara ispirazione epica, per l’esattezza greco-romana, e un primo EP dal titolo omonimo: La Caruta di li Dei. Giunti al 2018, il debut album, anch’esso magnificato dall’oro, compie 20 anni: Mediterraneo Atto I. Vogliamo festeggiare entrando nel dettaglio di questo lavoro e, magari, capire se, dopo tutto questo tempo e una quantità sufficienti di EP, sia arrivato finalmente il tempo di un atto II.


Chiaramente non possiamo che discuterne con Agghiastru e, come primo aspetto, voglio sapere qualcosa riguardo alla nascita del progetto.

L'immagine elegante e decadente della nobiltà saccense e siciliana mi ha ovviamente ispirato il progetto Inchiuvatu. A pochi minuti dal mio paesino di origine c’è Santa Margherita Belice, e lì la presenza di Tomasi Di Lampedusa è palpabile. Tutto lì intorno è magico. L’Abbazia di Santa Maria del Bosco, le colline che ispirarono le "minni di virgini", il Lago Arancio. Più in là, dall’altro lato, Pirandello e il suo teatro dell’assurdo, insomma, tutti aspetti che, uniti alle credenze popolane, più o meno infarcite di catto-paganesimo, illuminarono il senso tragico e melodrammatico di Addisiu. Ma attorno alla mia infanzia c’è anche odor di antichità: Selinunte e Akragas. Sono anche cresciuto con il colore del tufo e del mare mediterraneo. E stiamo parlando di emozioni e periodi diversi dunque. Non potevo far convivere tutto in un solo progetto musicale. Decisi quindi che era necessario mettere su un nuovo contenitore musicale: La Caruta di li Dei mi è parso il nome più appropriato, magari non semplice da pronuciare o ricordare, ma sicuramente evocativo.

Come nasce il nome del progetto che, in italiano, sta per la caduta degli dei? Presumo che non c’entri nulla l’omonimo film di Visconti nonostante il tuo amore per il cinema.

Il nome deriva da qualcosa ben meno nobile ma sempre legato ai miti greci. Negli anni d’oro del Carnevale di Sciacca, all’interno della manifestazione, si faceva largo uso di satira politica. Il livello era decisamente più alto, ora è scaduto nel baratro, come tutto il resto da quelle parti. Uno di questi carri allegorici presentava un Giove enorme che, con le folgori, annichiliva le restanti divinità. Anche le musiche erano evocative e, poco più che ragazzino, mi appassionò al punto tale da ricordarmene, e onorarlo, al momento della creazione del progetto di cui parliamo.

A questo hai legato una tua personale mitologia.

Mi sembrava quanto mai banale narrare di fatti estremamente conosciuti, quali i miti greci. Ma potevo affiancare ad essi una mia personale e fantasiosa visione. Da piccolo leggevo l’Iliade per ragazzi, ora ai bambini forniscono tracce di storia/fantasy in Disney o Harry Potter o Percy Jackson. Quelli di oggi sono dei figli disgraziati… ma i loro genitori questo si meritano. Nella mia infanzia c’era il prode Achille, ma io volevo un eroe tutto mio, e così m’inventai Kèleo. Questo personaggio è la somma dei due principali attori del poema di Omero. L’epica guerriera del figlio di Peleo e la meraviglia del cercatore di Ulisse. Delineato il mio eroe vi ho affiancato i racconti omerici e a tratti ho viaggiato su altre coordinate. I Cavalieri dello Zodiaco, Voltron, b-movie mitologici. Vale tutto. Musicalmente invece mi è sempre piaciuto il sound di Bal-Sagoth.

Chi è Kronion Signore della Kiana dal nauseabondo odore?

Il nostro covo era ed è alla K i a n a, un territorio pianeggiante a ridosso delle montagne sicane, in Sicilia. Lì, degli imbecilli pensarono bene di costruire uno stabilimento cantina-imbottigliamento, una piccola fabbrichetta per intenderci. L’odore che di notte emanava, poiché smaltivano chissà quali veleni, era insopportabile. Il nome era appunto Kronion. Per noi era la divinità suprema che tutto può, amarci o ucciderci, un po’ come l’Ilva a Taranto, quello sì che è un bel mostro mitologico dei nostri tempi. Da noi, vicino la nostra villa Mariannina, raffigurata in Piccatu, c’è questa torre alta che domina tutto il paesaggio della pianura, rovinandolo, è davvero inquietante. Ora hanno pensato bene di piazzare pure delle pale eoliche sul crinale dei monti sicani. Animali! Ecco, potrei fare un concept sulle pale di Eolo e su come distruggere un territorio unico. Ma ripeto, quella gente questo si merita.

Fondamentalmente nel primo atto de La Caruta di li Dei, Kèleo, dichiarava guerra agli dei di Atene e di Roma.

Sì, volevo una battaglia epica che avesse come centro la liberazione dell’uomo dalla costrizione divina. Dal fraintendimento del divino. Se il black metal se la prende col cristianesimo mi sembrava giusto dirne quattro anche agli dei pagani, non ti pare?  

Perché ci stai mettendo tanto a scrivere un secondo album?

Non c’è un perché. Ho avuto altre priorità e il mio senso di colpa ha poi partorito degli EP nel tempo. Poi col passare degli anni tutto il mondo della discografia è cambiato e sto ancora cercando di capire quale ruolo abbia la musica nelle nostre vite. C’è da dire che a quei tempi facevamo tutto di getto. Poco importava se l’accordatura di una chitarra o l’intonazione della voce non fosse perfetta. L’importante era fare, produrre e buttare in pista. Ora ci sono delle esigenze diverse. Vuoi suonare bene, comporre meglio, avere un suono "professionale" qualsiasi cosa voglia dire, e questa ulteriore ricerca mette ancor di più tempo al fare delle cose. Penso che il genere black metal non doveva minimamente fare soldi. Solo così si sarebbero preservate quelle registrazioni grezze, quelle esecuzioni dozzinali e quei suoni terribili, e tutto questo è genuino e molto più artistico di quel che sentiamo ora. Il metal oggi è uno squallido prodotto. Quello che mi chiedo quindi è proprio questo: dovrei contribuire a creare della nuova merce? E con quale finalità?

Ti capita ancora di pensare, come scrivevi un tempo: "mi alzo, ho voglia di suonare epico, faccio un bel giro di chitarra magari proprio per un progetto come La Caruta…"

No. Quel tempo è finito. Non è più sufficiente motivarsi con la musica in questi termini. C’è troppa disperazione in giro, qualsiasi cosa tu faccia, finiresti per condividerla con delle persone tristi. Non sento alcuna esigenza di stupire me stesso. Di consolarmi con qualche bella melodia. La musica è sì necessaria, ma quando è al servizio del sublime. Qui non c’è niente di sublime, la gente si esprime con like e faccine su internet. Non ha neanche più voglia di parlare in italiano. A che serve un disco? Una musica? A fare visualizzazioni e concerti per i pochi che pensano di non poter morire su di un comodo divano? Abbiamo perso un’occasione. La tecnologia poteva elevarci ma ci siamo concessi ad essa nel modo sbagliato. Abbiamo preferito diventare marionette nella mani dei social. Non sento alcun bisogno di mostrarmi o comunicare con la musica, specie a questa gente. Vado ancora al caffè, ma a leggere e incontrare qualcuno ancora sano di mente,  e che abbia il dono di usare quattro, cinque vocaboli fuori dall'ordinario.

Ma questo pone una pietra tombale sul progetto, altro che atto II…

Non voglio dire che non farò mai un proseguo del progetto, ma che il mio spirito non è certo quello di un tempo.

Tornando al passato, quale pensi sia stato il punto forte di quest’album che, a distanza di anni, possiamo affermare essere un vero e proprio capolavoro.

Penso che il partire da una composizione tastieristica abbia dato luminosità al progetto. Trattandosi di musiche evocative, su tasti, hai maggiori possibilità di allargare il suono/composizione, specie per me che sono prima di tutto un pianista e poi un chitarrista scarso. Era un momento in cui potevi permetterti di fare sfuriate metal accanto ad aperture fusion, simil jazz. Insomma, quello è un disco veramente libero. Forse anche più di Addisiu. La gente era ottimista, voleva essere stupita e ti concedeva la propria attenzione.  Ora c’è spazio solo per onorare il passato, come del resto stiamo facendo noi.

Ogni brano merita un ricordo, un aneddoto, una riflessione, non credi?

Se lo dici tu…

Trummi & Tammura. Parte con la pulsazione di un cuore, e…

È il cuore che pulsa, quella del guerriero che si prepara alla battaglia. Il titolo tradotto è Trombe e Tamburi, gli elementi musicali che annunciano, che scaldano il ferro. È un intro molto simile a quello dell’inno di carnevale del 1989, che a sua volta, è stato ripreso da una canzone di Battisti. Suona molto epico però. Posso dirti che i brass synth, le trombe, sono molto incisive, diciamo che sono il vero strumento solista-guida. Le chitarre stanno proprio in un angolo, da contorno. Mi piace poi molto l’apertura dei ritornelli, con le terze vocali in maggiore, molto esaltanti. Ricordo che l'assolo di chitarra, se così lo possiamo definire, lo feci un minuto prima di fare il master che poi andava in stampa. Praticamente sentivo ancora uno spazio vuoto e, me disgraziato, ho voluto ficcarci qualcosa. Ovviamente, non essendo un chitarrista ho cercato d'immaginare una melodia ''epica''.

Carinu è stato il primo brano che, dal demo del 1997, si è imposto subito all'attenzione del pubblico di allora. Praticamente una sorta di mettere subito in chiaro che, questo nuovo progetto non suonava derivativo da Inchiuvatu. Carinu, tradotto… Cadono!

Brano molto cadenzato. C’è il senso della marcia, con rullante e trombe che incitano, ma anche l’auspicio che gli dèi possano e debbono cadere.  Ci sono parti eteree perché volevo ricreare sempre un momento di "campo di battaglia" in rapporto con la "coscienza dell’eroe". Non volevo esprimere solo una musica che incita alla guerra, ma anche alla costante riflessione interiore di ciò che accade al guerriero. Chiaramente ho sempre amato i vecchi b-movie mitologici dove potevi sentire questa musica ideale, che rievocava discutibilmente, quello che avresti sentito al tempo. Per cui ho cercato da subito l'idea marziale che riportasse alla mente proprio quei film. Questo tipo di ragionamento lo uso spesso. Immagino una scena e creo la musica come fosse una colonna sonora. E' stato il primo brano che ho composto. La mia Kork M1 aveva dei brass bellissimi. Mi è bastato posare le dita su due note e il brano era fatto. In Mediterraneo Atto I invece ho usato una Korg N264. Qualche dettaglio tecnico secondo me può piacere ai tanti nostalgici musicisti.

 

In Sognu… nel sogno.

Poiché tutto Mediterraneo Atto I è un concept album, tutta la musica è al servizio del racconto, epico appunto. Nella traccia In Sognu… Kèleo riposa nella sua tenda. Esamina gli avvenimenti. Poi arriva una voce, Ira, una ninfa-dea, lo incita a continuare la battaglia verso la vittoria. Il brano è chiaramente di matrice prog, sia per suoni che per intenzioni. Mi ripeto, al tempo suonavo buona la prima. Non mi fregava niente di comporre con criterio. Improvvisavo e basta. Ascoltando gli assoli ora, traspare un’arroganza adolescenziale insopportabile. Ma ho avuto dei cattivi maestri.  Buttavo lì delle note più o meno in scala, convinto che poi il fato le avrebbe armonizzate. Ma non è proprio così.



Segue Kronion, anche qui c’è un rollio di generi che si alternano arrogantemente a mostrare la propria credibilità. Non è uno dei brani migliori o preferiti, ma credo necessario. Anche perché, assieme a Fiammi è stato il secondo, o terzo che ho scritto. Puoi sentirci dentro l'idea iniziale del progetto. L'embrione, ma poi in Mediterraneo Atto I sono cresciuto in melodie e accordi. Tutto retaggio jazz. Non va mai dimenticato, per capire il mio modo di fare musica, che io non nascevo nel genere metal, ma provenivo da esperienze diverse. Dal prog, dalla jazz-fusion, malamente, alla musica cantautorale. 

 

Etna invece fa parte di un nuovo corso compositivo e nasce dopo il demo, raccontaci come mai.

Nel disco, come ti dicevo, ci sono brani risalenti al demo del 1997, Kronion, Fiammi, Carinu, e brani scritti un anno dopo. Etna, Nadur, Trummi & Tammura, Lampi & Trona. Diciamo che questi ultimi esprimono una maturità compositiva più convincente e avvincente. Ci sono delle melodie decisamente più ''epiche'' e mature. Anche le vari parti, intro, strofa, ritornello, soli, sono meglio architettate per servire un’idea chiara. Quando arriva il ritornello di Etna, in quella specie di inglese, capisci bene che la portata epica di questo progetto c’è tutta. Lo stacco prog di tastiera lo suono ancora oggi con piacere. Il classico suono "staccato heaven" della Roland D-50. A quei tempi, fine anni '80 inizio '90, il mondo delle tastiere-keyboards era affascinantissimo. Avevano un design austero e dei suoni, pessimi. La Roland si prensentava con la S10 che voleva essere più un campionatore che un sintetizzatore, ma il vero must fu la D-50, paritaria forse per ''storia'' alla M1 Korg e al mitico Yamaha DX7. Chi sa di cosa sto parlando avrà una lacrimuccia che gli riga il viso. Anche l’assolo alla chitarra che segue è degno di nota.

Ecco Fiammi.

Lo senti che ha un approccio diverso, più vecchio, più banale anche. Seppur puntellato da una parte prog centrale interessante, tutto gira intorno ad un riff di trombe che si sposta di semitono in semitono. Nella canzone sono presenti innesti "mediorientali" abbastanza banalotti… Divertente l’assolo di chitarra… Frank Zappa si rivolterebbe nella tomba, ma io ero veramente cocciuto e senza vergogna. Il brano si chiude in una sorta di esplorazione che "divora" se stesso. Utilizza più o meno gli stessi accordi, tempi, impressioni, e le sfrutta fino all’esaurimento. Questo avviene quando scrivi un brano che ha un riff centrale così "imponente". Non riesci più a discostartene tanto.

 

E' il turno di Nadur, forse una, se non la migliore canzone del disco. Parlaci anche del significato di questo brano e del soggetto particolarmente caro.

Nadur, ossia Rocca Nadore, è la nostra montagna sacra. Se l’Agghiastru ri ‘n mezzu è il nostro Yggdrasill, il Naduri è il leone accovacciato che sorveglia la Kiana della sciaccazza. Cose che possono comprendere i primissimi fan della Med Scene che venivano a trovarci numerosi. Ora, gli stronzi si fanno bastare un like o un cuoricino. Ma andate a quel paese... Comunque, capisci subito che Nadur ha un piglio potente. Parte in maggiore con le trombe trionfanti. Lì Kèleo viene incoronato vincitore, ha sconfitto gli dei. Tutta la musica è trionfo. Anche tutti i vari assoli prog di synth e chitarra sono equilibrati. Dialogano perfettamente, così anche le voci, cantate o recitate. Ecco, lì capisci cos'è il progetto La Caruta di li Dei. È quella musica lì. Non so se è la migliore ma funziona. Ho sempre cercato di creare un disco che funzionasse tutto, poi magari ti piace questo o quel brano ma, se ci pensi bene, è tutto dove deve essere. Armonico e naturale.

 

Lampi & Trona si preannuncia con un lungo recitato in cui le risa degli dei destano Kèleo dal sonno e dai suoi sogni di gloria. Forse il brano più black del lotto…

Be’, non lo definirei proprio black ma l’intenzione era di riaprire i giuochi. La musica incalza, dice: "amico, non hai vinto un bel niente, gli dei sono frutto della tua stessa immaginazione, hai solo creduto di combattere contro qualcosa, ma il vero nemico è te stesso". C’è molta malinconia in questo brano, ma anche rabbia per la disfatta. Il cielo di Kèleo, da trionfale che era, si riempie nuovamente di nuvole inquietanti. Lampi e tuoni, appunto. Come vedi è molto filmico, se chi ha ascoltato questo disco ha immaginato queste scene, allora avrò centrato il punto. La musica deve far ''viaggiare'' altrove.

 

Ira la troia (gloria infranta) chiude questo bellissimo concept. C’è stato un inganno da parte della ninfa che ha celato a Kèleo contro chi veramente si stesse scagliando. Ed è evidente l’impossibilità, da parte dell’uomo, di staccarsi dall’esigenza di affidare il proprio destino ad un’entità suprema.

È un brano conclusivo e possibilista. Per lo più suonato con i synths e narra i vari sentimenti dell’animo del guerriero in quel momento. C’è anche una parte orientale e ritorna il battito del cuore iniziale, come se, esiliando se stesso in una terra lontana, Kèleo si ravvede e in qualche modo si carica per affrontare una nuova sfida. Lo sottolinea anche il fatto che tutto il brano è per lo più su accordi maggiori, ossia, esprimono ariosità, stati d’animo fieri e per niente afflitti.

Afflitto invece lo è chi ha amato quest’album e non ha ancora ricevuto il suo degno successore. Anche se tu ora mi dirai che…

Che il degno successore è contenuto nei successivi EP: Scilla & Cariddi del 2002, La Coscienza del 2005, Era del 2011 e Ursus del 2014. Capisco che per molti è importante il contenitore, a volte più della musica stessa, e che quindi voglio vederci scritto sopra, a chiare lettere MEDITERRANEO ATTO II, ma per me è come se l’avessi fatto, a pezzi. Altri obietteranno che il suono non è più quello. Ed è vero, ma è quello che io ho voluto evolvere. Quindi, scritta o non scritta, quello sarebbe comunque stato il successore di Med Atto I.

Hai indurito un po’ tutto, chitarre, voci, ritmi, pensi di aver fatto bene o hai tradito lo spirito iniziale?

Sì, perché ho pensato che, in fondo, doveva essere un progetto di metal estremo, e non di puro prog. Sul finire degli anni ’90 ascoltavo veramente tanta fusion, Pat Metheny e Lyle Mays, Corea, e ne venivo influenzato, ciò è successo anche per Viogna, ovviamente… perdendo di vista la vera natura di quei progetti, ossia il metal. Se poi mi dite che, a voi, più che del metal interessavano le mie melodie, allora il discorso cambia. E questo è stato sempre un mio limite. Non capire bene per chi suonare e cosa. Se suonare per me stesso o per qualcun altro. E quest’ultimo che cosa pensa della mia musica? Dopo vent’anni capisco che i più non hanno compreso molto, ma piace comunque. Vuole essere spiazzato, probabilmente. Vedremo che ci propina il domani. Posso concludere dicendoti che non farò mai più un EP di questo progetto poiché, se mai riuscirò a scrivere qualcosa, sarà unicamente per il secondo album ufficiale. Mediterraneo Atto II.

Quindi c'è una speranza. Una volta mi pare di averti sentito dire che Ursus era l'atto finale di questo progetto e, dopo questo disco, niente si poteva dire di altro.

 

Ursus è stato un notevole sforzo creativo e ne sono molto fiero. Ed è stato lì che ho capito che era ora di chiudere. Per il semplice motivo che stavo vanificando delle idee ottime. Bastava aggiungere un paio di brani e Ursus poteva diventare l'atteso Med Atto II, almeno a parer mio. Ma, come accennavi tu, è ben diverso dagli esordi. Quindi ora mi chiedo. Ma il nuovo Med Atto II, deve prevedere della ''durezza'' di Ursus ma recuperare anche l'ingenuità del passato e le melodie post Med Atto I? Diventa una sfida interessante se ci pensi.  Ma sono solo ''parole'' poi, fare un album, comporta un enorme dispendio di energie e ho tanto altro lavoro messo da parte che aspetta. Non so, vedremo.

Se gli dèi dell'Olimpo e della Kiana vorranno, ci sarà ancora spazio per questo progetto. Altrimenti vedrete che tra qualche anno rivaluterete anche gli EP in questione.

 

 

 

marco INCH Productions staff

 



 




 

 

 

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